Cetona, la Torre del Rivellino con l'orologio (a sei ore) senza l'unica lancetta |
L’altro giorno sono stato a
Cetona, un paesino del profondo Senese. Che qui il tempo si sia fermato lo
testimonia l’orologio esposto nell’atrio del municipio in una bacheca di
cristallo: un tempo scandiva le ore dalla torre medievale del paese, poi per un
terremoto negli anni ’40 è caduto giù e
nessuno ha pensato di ripararlo. Il
paesaggio (straordinario), dal XVI secolo non ha subito sostanziali modifiche,
a parte un quartiere di case nuove a valle, popolato negli anni ’90 dai
paesani, che hanno lasciato il centro storico ai turisti stranieri.
Per arrivare a Cetona in treno si
prende il Frecciarossa e poi si deve cambiare
a Firenze per un regionale fino a
Chiusi. Un tempo c’erano molti più treni che fermavano a
Chiusi-Chianciano: era una stazione
importante (c’era il cambio dei macchinisti) ma oggi l’Alta Velocità non ha
tempo per i dettagli e punta dritta verso Roma.
Il Frecciarossa è affollato: di
fronte a me si siede una giovane signora (avrà 30 anni) di gentile aspetto.
Bene, prevedo un viaggio piacevole rispetto al precedente, quando una famigliola dal carattere
alternativo aveva appoggiato gli stanchi piedi nudi sui sedili accanto al mio.
Di fianco due litigano per lo stesso posto prenotato: si risolve come al solito
quando un contendente si accorge di aver sbagliato carrozza e se ne va
maledicendo la tecnologia.
Saranno passati cinque minuti, il
treno è ancora fermo e arriva la prima telefonata alla signora di fronte a me:
“Ciao! Sì sono in vacanza per un paio di giorni… le pratiche le ho lasciate a…
sì sì è tutto a posto…clic” . Dopo due minuti arriva la seconda: “I biglietti
per l’EXPO ? Ce ne sono in più ? Allora lo diamo al cliente (…) aspetta che gli
telefono….” “Dottore ? Buongiorno, una buona notizia…abbiamo dei biglietti in
più! …Sì sono nominativi… cosa succede se ci va un altro ? Non lo so io non
c’entro, dovrebbe parlare con….” (non si ricorda il nome e io sogghigno di
piacere…. Dunque capita anche a chi ha 30 anni….). “E’ arrivato il bancale per
l’ing. Tassotti ? Non ancora ? Perché ? La merce non è conforme ? Non c’entrano
niente con il cibo ? … ma dai…! Adesso telefono al responsabile delle
spedizioni …..” “Giuseppe, quando mi cambi il telefono ? questo mi si
scarica….” (ma il bancale per Tassotti ?).
Il fastidio è notevole, rimpiango
i fettoni del viaggio precedente. Penso
tra me un modo elegante per farla smettere: quasi quasi fingo di parlare al
telefono con l’Ing Tassotti “Sì ingegnere, non si preoccupi per il bancale…. Ci
penso io” ma la ragazza è così autocentrata che dubito se ne accorgerebbe…
oppure le dico di essere uno psichiatra e le chiedo di partecipare a una
ricerca sulla personalità bipolare indotta dal telefonino… ma penso che sia
troppo sottile.
“Aho! M’abbassa stà voce che
degli affari tuoi non ce ne frega un c…o)” Ecco che il mio vicino di posto è
stato più veloce e assertivo di me. La ragazza arrossisce e poi si giustifica: “ma
io lavoro....”
Risposta laconica del passeggero:
“non solo tu” e si reimmerge nel gioco elettronico sul suo I-pad.
Il Frecciarossa arriva in ritardo
di 10 minuti. Giusto in tempo per perdere la coincidenza. Dall’altoparlante
nessuna scusa: tanto chi è arrivato a Firenze è arrivato e a Roma si recupera. Mi
ci sono voluti altri due treni e tre ore per raggiungere Chiusi.
Al ritorno ho preso l’unico
glorioso intercity che da Napoli arriva a Milano. Ha ancora carrozze con gli
scompartimenti: mi ci sono rifugiato come in una tana. Nel corso del viaggio ho conversato
con altri passeggeri, letto un libro,
scritto questo blog, e anche dormito.
Mi sono anche messo in fondo a guardare i
binari scorrere veloci (sul Frecciarossa c’è il video, ma dal vivo è un’altra
cosa). Un foglietto appiccicato con lo scotch avvisava: “fine del treno:
vietato aprire”. Ho seguito le istruzioni.
L’intercity è il penultimo nella
scala sociale dei treni, seguito solo dai regionali ed è anche a rischio continuo ritardi, sia
per problemi tecnici (nel nostro alcune porte non si aprivano) sia per dover
dare la precedenza alle più nobili e tecnologiche frecce. Ma è anche il treno
che dà il senso del viaggio, dell’esistenza di città “minori” che non lo sono
affatto per storia e per cultura, che ti permette di spegnere la luce e
accendere quella di cortesia, di scaricare il cellulare (non ci sono le prese)
e di ricaricare la mente.
Quando ricevo richieste di corsi
da parte del management delle imprese sulla gestione del tempo (soprattutto per
i loro collaboratori) i contenuti sono sul modello Frecciarossa: velocità,
efficienza, puntualità (quasi sempre), interconnessione. Ma quando mi chiedono
se ci sono novità sul tema, recupero alcuni aspetti dell’Intercity: il bisogno
di restare con sé stessi, l’attenzione
ai particolari e a chi ci sta intorno, il senso del viaggio.
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