martedì 15 dicembre 2015

C'era una volta la filiale





C
’era una volta la filiale di vendita. A capo della filiale c’era un Direttore, denominato direttore di filiale. Tutti sapevano chi era il capo. Il Direttore aveva una segretaria, che custodiva i segreti del Direttore (dal numero della carta di credito al telefono della signorina Susy), conosceva le priorità e i clienti più importanti. Nella filiale c’erano poi i responsabili commerciali che svolgevano attività commerciale, cioè di vendita di prodotti al miglior prezzo (per l’azienda) ai clienti assegnati. I responsabili commerciali avevano una quota di vendita, in genere basata sul fatturato, della quale si lamentavano sempre, come un peso insopportabile e un obiettivo irraggiungibile, che però raggiungevano nella maggior parte dei casi  e ciò comportava guadagnare almeno il 40% in più dello stipendio. Ogni anno poi gli toccava frequentare una sessione di duro lavoro, chiamata Convention, in uno dei posti esotici del mondo, dalla quale uscivano in genere molto provati.  In genere al Direttore riportavano alcune figure di staff come il capo dell’amministrazione, e il responsabile tecnico, entrambi dedicati a fornire il miglior servizio al cliente. Tra gli ambienti di lavoro osservati, la filiale dimostrava una forte motivazione del personale, basata sui ruoli ben definiti, il Direttore dirige, il venditore vende, l’amministrativo amministra, la segretaria porta il caffè, su valori chiari (servizio al cliente, eccellenza come stile di lavoro, integrità ecc.), collegati agli obiettivi altrettanto chiari e condivisi.  

La filiale di solito era in un bel posto, perché rifletteva l’immagine e la potenza dell’azienda, che voleva essere presente sul territorio anche con iniziative sociali e di sviluppo.

Rispetto alla cacciata dal paradiso terrestre, dove l’evento di discontinuità fu quello di mangiare la mela, non si conosce chiaramente la causa della caduta di questo arcadico modello di lavoro. Ci fu probabilmente un talento dell’organizzazione che, sulla scorta dell’ evoluzione tecnologica delle comunicazioni pensò che avere tanti Direttori, tante segretarie, rappresentanti distribuiti sul territorio era uno spreco. Se prendiamo per esempio la segretaria che segue un Direttore, probabilmente ha dei tempi morti quando il direttore non c’è: se invece mettiamo le segretarie tutte insieme, possono seguire in remoto più Direttori, anzi grazie a questo recupero di efficienza possiamo dimezzarne il numero e già che ci siamo possiamo integrare le filiali e dimezzare il numero dei Direttori che a sua volta inciderà sul dimezzamento del numero delle segretarie rimaste. E così per le altre funzioni.

Poi ci si è chiesto: cosa ce ne facciamo di filiali così grandi e costose quando il nostro brand ormai è visibile prevalentemente in rete ? Così le filiali si sono ridimensionate e dato che in alcuni casi si sono accorpate, si è deciso di svincolarsi dal vecchio paradigma della scrivania assegnata individualmente e di incoraggiare il lavoro ovunque, in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento e questa tecnica ha preso il nome di smartworking.

Poi ci si è chiesto: cosa ce ne facciamo di rappresentanti che vanno dal cliente quando la maggior parte degli acquisti viene fatta online ? E a questo punto sono cresciuti i call center, con sempre maggiori responsabilità di vendita e di gestione dei processi operativi che, per non mettere alcun dubbio sulla qualità della loro prestazione, sono stati chiamati centri di competenza o di eccellenza. (In inglese suona meglio).


Ho visto in vari convegni autorevoli professionisti digitali affermare con orgoglio “il mio lavoro è tutto qui dentro” indicando lo  smartphone al posto del proprio cervello. E’ vero: la nostra capacità di operare e di interagire con il mondo si è moltiplicata enormemente insieme alla possibilità di fare da soli una serie di attività che prima richiedevano l’aiuto degli altri: siamo finalmente soli in un mondo affollato.   


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