mercoledì 6 marzo 2013

Dell'organizzazione


Sto notando da parte di autorevoli osservatori del mondo delle organizzazioni, come l'amico Massimo Chiriatti,
http://massimochiriatti.nova100.ilsole24ore.com/
un rinnovato interesse sugli effetti del lavoro remoto e la produttività in azienda: in particolare concordo sul fatto che la fiducia, non solo tra individui, ma nella concezione dell'essere umano in sé, sia alla base dell'impostazione di un qualsiasi sistema organizzativo.
Richiamandoci alle ormai storiche teorie sviluppate Douglas McGregor (1906-1964) presso il MIT, sappiamo come la fiducia possa influenzare i rapporti tra le imprese e i suoi dipendenti.  Secondo la teoria X le persone persone attribuiscono al lavoro un carattere puramente strumentale per ottenere la retribuzione e quindi tendono a minimizzare lo sforzo per ottenerla.
In pratica, per il lavoratore X: se c'è da fare qualcosa, il server è giù, se deve prendersi una resposabilità,  devi parlare col capo o con qualcun altro che poi ti rimanda al primo interlocutore, se c'è una soluzione da prendere, è quasi sempre orientata ad evitare o aggirare l'audit.
Alla teoria X si contrappone la teoria Y, nella quale si ipotizza che le persone tendano ad assumere spontaneamente le responsabilità, abbiano per natura un atteggiamento di lealtà ed impegno, si identifichino con l'azienda, i suoi obiettivi e la professione esercitata.
Basta vedere le (poche) inserzioni di ricerca di personale, per constatare che la maggior parte delle imprese si riconoscono nel modello Y, dove ai livelli di responsabilità-comando-controllo dell'impresa gerarchico funzionale (X), si contrappone la flessibilità, senso di iniziativa, innovazione caratteristico del modello (Y).
Tuttavia, come riteneva lo stesso McGregor, i due modelli possono coesistere in una stessa impresa in percentuali diverse.
Se è piuttosto difficile passare da un modello di relazioni con il personale  di tipo X a un modello Y, per il fatto che i dipendenti non si fidano e mettono in pratica tutte le resistenze di cui hanno provata esperienza, non sembra altrettanto difficile passare da Y a X.
In estrema sintesi, tra le ragioni che possono riportarci a un modello "neo-tayloristico"  c'è innanzitutto la crisi che porta riduzione costi, incentivi, investimenti sulle persone; segue  la globalizzazione dei processi di business che richiede la standardizzazione delle attività, infine lo sviluppo della tecnologia web che ha reso meno costoso il controllo: oggi un impiegato disperso in una parte del mondo (naturalmente di quella parte che costa poco in termini di salari) può bloccare una qualsiasi procedura, indirizzare i comportamenti degli executive di un paese o di un'intera regione, decidere delle carriere e dello sviluppo delle persone.

Ma le caratteristiche dell'impresa tayloristica (X) (gerarchie,  livelli definiti di responsabilità, esecuzione di piani, lavoratori in ruoli puramente esecutivi) non sembrano caratterizzare le imprese di oggi, dove non contano più le "braccia", ma il "cervello",  i capi sono sostituiti dai team leader (project manager, stakeholders, opinion makers), il lavoro di squadra è meno importante rispetto alla capacità di stabilire relazioni "social" in ogni parte del mondo.

Forse ciò che accomuna il modello X con il vissuto attuale delle persone è quel "senso" di vuoto: che si traduce in una esigenza di senso in quello che si fa e di  responsabilità dei propri risultati.
 
Sembra che conti sempre di più "misurare una scarpa" che sapere dove va.... ma questa è un'altra storia.  











 

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