Pubblico una storiella disegnata nel 1985 e ritrovata oggi.
lunedì 28 dicembre 2015
martedì 15 dicembre 2015
C'era una volta la filiale
C
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’era una volta la filiale di
vendita. A capo della filiale c’era un Direttore, denominato direttore di
filiale. Tutti sapevano chi era il capo. Il Direttore aveva una segretaria, che
custodiva i segreti del Direttore (dal numero della carta di credito al
telefono della signorina Susy), conosceva le priorità e i clienti più
importanti. Nella filiale c’erano poi i responsabili commerciali che svolgevano
attività commerciale, cioè di vendita di prodotti al miglior prezzo (per l’azienda)
ai clienti assegnati. I responsabili commerciali avevano una quota di vendita,
in genere basata sul fatturato, della quale si lamentavano sempre, come un peso
insopportabile e un obiettivo irraggiungibile, che però raggiungevano nella
maggior parte dei casi e ciò comportava
guadagnare almeno il 40% in più dello stipendio. Ogni anno poi gli toccava
frequentare una sessione di duro lavoro, chiamata Convention, in uno dei posti
esotici del mondo, dalla quale uscivano in genere molto provati. In genere al Direttore riportavano alcune
figure di staff come il capo dell’amministrazione, e il responsabile tecnico,
entrambi dedicati a fornire il miglior servizio al cliente. Tra gli ambienti di
lavoro osservati, la filiale dimostrava una forte motivazione del personale,
basata sui ruoli ben definiti, il Direttore dirige, il venditore vende, l’amministrativo
amministra, la segretaria porta il caffè, su valori chiari (servizio al
cliente, eccellenza come stile di lavoro, integrità ecc.), collegati agli
obiettivi altrettanto chiari e condivisi.
La filiale di solito era in un
bel posto, perché rifletteva l’immagine e la potenza dell’azienda, che voleva essere
presente sul territorio anche con iniziative sociali e di sviluppo.
Rispetto alla cacciata dal
paradiso terrestre, dove l’evento di discontinuità fu quello di mangiare la
mela, non si conosce chiaramente la causa della caduta di questo arcadico
modello di lavoro. Ci fu probabilmente un talento dell’organizzazione che,
sulla scorta dell’ evoluzione tecnologica delle comunicazioni pensò che avere
tanti Direttori, tante segretarie, rappresentanti distribuiti sul territorio
era uno spreco. Se prendiamo per esempio la segretaria che segue un Direttore,
probabilmente ha dei tempi morti quando il direttore non c’è: se invece
mettiamo le segretarie tutte insieme, possono seguire in remoto più Direttori,
anzi grazie a questo recupero di efficienza possiamo dimezzarne il numero e già
che ci siamo possiamo integrare le filiali e dimezzare il numero dei Direttori
che a sua volta inciderà sul dimezzamento del numero delle segretarie rimaste.
E così per le altre funzioni.
Poi ci si è chiesto: cosa ce ne
facciamo di filiali così grandi e costose quando il nostro brand ormai è
visibile prevalentemente in rete ? Così le filiali si sono ridimensionate e
dato che in alcuni casi si sono accorpate, si è deciso di svincolarsi dal
vecchio paradigma della scrivania assegnata individualmente e di incoraggiare
il lavoro ovunque, in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento e questa tecnica ha
preso il nome di smartworking.
Poi ci si è chiesto: cosa ce ne
facciamo di rappresentanti che vanno dal cliente quando la maggior parte degli
acquisti viene fatta online ? E a questo punto sono cresciuti i call center,
con sempre maggiori responsabilità di vendita e di gestione dei processi
operativi che, per non mettere alcun dubbio sulla qualità della loro
prestazione, sono stati chiamati centri di competenza o di eccellenza. (In
inglese suona meglio).
Ho visto in vari convegni
autorevoli professionisti digitali affermare con orgoglio “il mio lavoro è
tutto qui dentro” indicando lo smartphone
al posto del proprio cervello. E’ vero: la nostra capacità di operare e di
interagire con il mondo si è moltiplicata enormemente insieme alla possibilità
di fare da soli una serie di attività che prima richiedevano l’aiuto degli
altri: siamo finalmente soli in un mondo affollato.
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